Comincia in maniera assolutamente inaspettata.
Come ogni anno in primavera inoltrata, arriva puntuale la telefonata dell'agente dell'assicurazione previdenziale, che annuncia che deve vedermi per consegnarmi il solito attestato dei versamenti, che il bravo e coscienzioso disegnatore allegherà al suo modello unico al momento giusto. E come quasi ogni anno, ogni volta è uno nuovo. Normali avvicendamenti, si usa dire, e come ogni volta so che appena mi vedrà cercherà di essere socievole, ma no problem, me lo aspetto.
Infatti come ogni volta, appena arrivato e data un'occhiata intorno, il nostro nuovo agente vede la scrivania con tavole da disegno in lavorazione, si incuriosisce come un gatto di fronte ad un televisore, e regolarmente, puntuale come un'eclissi di sole o un millenario passaggio di cometa in un fottuto giorno nuvoloso, gli sorge spontanea la solita domanda:"Ma lei che mestiere fa?"
Già, mi trovi a casa un pomeriggio di un giorno feriale, qualche idea te la sarai già fatta, e probabilmente sei curioso, e poi tutti quei disegni, il disordine, e quindi...
Come ogni volta, a quel punto mi trovo nella situazione che tutti i disegnatori conoscono bene. Spiegare che sei un disegnatore di fumetti, e sperare che finisca lì e non voglia approfondire. Macchè. Che sia il nuovo agente dell'assicurazione, o o l'amico di un amico a cui ti presentano dicendo pomposamente che sei un fumettaro, appena scoprono che sei disegnatore di FUMETTI, ti incalzano raggianti, e subito ti chiedono curiosi "Per chi lavori? Che fumetti fai?".
E qui sorge il solito spinoso problema. Perché da buon conoscitore dell'editoria, e del mercato, e dei lettori, e delle domande dei lettori e di quelle dei non lettori, sai le probabilità che il tuo nuovo interlocutore abbia letto un fumetto recentemente sono vicine allo zero, e se nel caso qualcuno ti dice che ha letto proprio il TUO fumetto allora è un complotto, e qualcuno lo ha pagato per dirlo, (ma se lo prendo me la paga cara). Per cui che senso ha, ti sei detto meditabondo la prima volta che ti è capitato - e ti ripeti ogni volta che capita, che senso ha dunque spiegargli nel dettaglio il nome dell'editore, o la testata per cui lavori? Ti fisserà con uno sguardo vuoto, rendendosi conto che con un certo imbarazzo dovrà dire che non ha la minima idea di cosa tu stia parlando.
Certo, nei bei tempi di disegnatore Bonelli potevi cavartela dicendo il nome dell'editore, e ai primi segni di sguardo vuoto potevi subito aggiungere "L'editore di Tex e Dylan Dog.", cercando di metterli tutti costoro a loro agio, facendo ritrovare loro una parvenza di sorriso, un colorito vivace e la parola (rigorosamente in quest'ordine), ma - mai contenti - subito dopo volevano il nome della testata, laddove solo i più spregiudicati temerari osavano dire "Ah, ne sono un grande appassionato, li leggo sempre!", ma in ogni caso, a meno che non ricevessero come risposta "Tex, Dylan o Zagor", scuotevano la testa sconsolati, ricominciando a boccheggiare, ad assumere un colorito ceruleo, e nell'imbarazzo essere costretti a dirti che la tua serie non l'avevano mai nemmeno sentita nominare.
Per cui, ormai temprato da anni di conversazioni con curiosi temerari, di solito me la cavo tergiversando, balbettando frasi come "un editore dei tanti" o cercando di chiudere il discorso su quell'argomento. A volte aggiungevo che potevo anche dirglielo, ma se lui non li conosceva non avrebbe avuto senso sentire un nome come un altro. Un po' come chiedere ad un tecnico di computer cosa aveva il tuo PC precedentemente guasto e sentirti dire che mancava un file CHK, che la RAM aveva interferito con lo scan disk e impallato Skype e MWASPI, per cui necessitava di un ripristino come se fosse Antani. Conosci i sintomi, vero? Hai lo sguardo vuoto, il colorito ceruleo e il tuo neurone attivo ti sta gridando nella cassa cranica "Così impari a fare domande cretine!".
Ma torniamo all'episodio iniziale. Come ho detto il tavolo da lavoro è pieno di fogli di cartoncino a matita, o parzialmente inchiostrati, di formati differenti perché differenti sono i lavori. Ma l'agente delle assicurazioni, forse perché essendo accompagnato da una giovane praticante vuole far vedere come si conquista il cuore del cliente, insiste (lo fanno sempre, ahimè), e in quel momento sul foglio in cima al tavolo c'è un primo piano inchiostrato di Nathan Never che sbuca dalle sottostanti matite di Guido Masala. Penso a quando davo come risposta Jonathan Steele o Harry Moon, e il nome non diceva nulla all'interlocutore (colorito ceruleo, sguardo fisso nel vuoto), per cui mi dico che posso benissimo rispondere Nathan Never per questa volta, e magari ho la possibilità di ottenere una reazione positiva.
Dici male Jack.
La reazione la ottieni si, ma è quella sbagliata.
Alt. Stop, fermate il mondo, qualcuno premi il pulsante di pausa nel Life-player... cosa? What? W.T.F.?
Il mio neurone mi spiega con calma "Ti ha preso per un "negro", facile!"
La mia risposta è comunque un po' "piccata" e secca. "NO, quelli in gergo si chiamano negri, ne conosco parecchi, ma IO disegno e firmo da solo. Stop insistere su quest'argomento, grazie"
Fermati qui, non insistere, conta fino a centomila, e nel frattempo salutalo con cordialità e non fare trasparire nulla. Va tutto bene, tutto è a posto, e non barare, sei arrivato appena a contare fino a 200, ho detto 100.000, ma forse è meglio se arrivi a 250.000. Saluti, stringi la mano, chiudi la porta sorridendo, possibilmente senza sbatterla, e adesso siediti e continua a contare...
Ma... "E se invece la soluzione fosse un'altra?" Mi suggerisce il neurone (magari invece è un altro che si è appena attivato, e quindi ora sono due, fantastico...). Forse davvero quel signore ha incontrato clienti che millantavano di lavorare con un grosso personaggio, e che magari gli hanno spiegato pazienti che in quel campo è così, che è normale essere gli aiutanti di uno famoso, e ormai quelli famosi non disegnano più, e lasciano che a fare tutto siano loro, gli Amati, Amichevoli, Anonimi Aiutanti.
Si, perché esistono davvero, e ne ho conosciuti pure io. Sia di quelli regolari, aiutanti inseriti nei credits della storia, sia quelli anonimi. Quelli che per 10/20 euro a pagina si vedono offrire la possibilità di fare gli sfondi, inchiostrarli completamente, fare tutte le finestre, e magari anche le maniche della giacca del protagonista "Ti serve per esperienza, io ti sto aiutando, hai bisogno di fare pratica, non credere che io ti stia sfruttando, non io, NON IO! i 200 euro a pagina che prendo mi servono per aiutare TUTTI i giovani che seguo, e ho tante spese, non mi rimane praticamente nulla, e tutti i più bravi incominciano così, credi a me, faremo grandi cose assieme, ma sopratutto, non toccare la mia Ferrari Testarossa, le impronte danneggiano la vernice."
Già. Ma che sia un agente assicurativo o un giovine gestore di ancor più giovine fumetteria, credi più probabile che l'omino che ti dice di disegnare Nathan Never sia un negro piuttosto che un disegnatore completo a tutti gli effetti? O sei prevenuto...
O qui gatta ci cova.
Sassolini nella scarpa? Ecco, appunto, questo è uno di quelli. No, non che l'interlocutore che suppone sia per te così scomodo (semplicemente gli auguro un foruncolone grosso come una zecca sul culo che gli impedisca di sedersi per giorni, ma a parte quello niente rancore e amici come prima, non son un tipo che serba rancore, giammai), ma che i negri (o gli A.A.A.A., termine politicamente più corretto) sconosciuti siano più di quelli che pensi. Sono tutto intorno a noi.
Vivono in mezzo a noi. Ai margini della visione, nei battiti di ciglia, agli angoli di un cartoncino Fabriano 4, nelle zone d'ombra della pagina, con firme nascoste... in-sospettati e in-individuabili. Cercando di farsi strada nell'avido mondo dei trafficanti di negri, e provando a convincere gli agenti delle assicurazioni (incassando soldi da loro sono una delle poche categorie a non potere NON vederli) della loro esistenza. Non permetterti mai di dimenticarti che esistono, e sopratutto che non sono pochi.
E si, lo so benissimo che pure io in passato a qualche fiera, disegnando personaggi manga per qualche bimbo curioso che a fine orario si presentava allo stand dove un disegnatore disegnava davanti a poster di Detective Conan e Dragonball, mentre omaggiavo il bimbo con un disegnino rapido del suo detective occhialuto preferito, aggiungevo anche sottovoce che in realtà ero io il suo vero disegnatore, anche se a firmare era un giapponese. Ma dicevo anche che a casa avevo una divisa di Startrek, per cui mi aspettavo capisse che scherzavo. Dai, era COSI EVIDENTE!
Ecco, mi accorgo ora che il cerchio si chiude: "Arrabbiarsi per una voce sentita e attribuita, ed essere stato anche il fautore di quella voce in un'altra occasione." Accidenti.
Anche se poi una divisa di Startrek ce l'ho davvero. Ma tanto questo lo sanno solo in pochi.
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