venerdì 18 gennaio 2013

Quel paese inesplorato

La prima volta fu un caso fortuito. Quando? Tanto tempo fa, prima che fossimo giovani. Ero ad un mercatino di fumetti a livello locale, un singolo appassionato in mezzo alla folla di altri appassionati, e mi trovai a chiacchiere per più di 20 minuti con uno standista appena conosciuto. E ad un certo punto scoprì che pure lui, come me, era un socio dello Star Trek Italian Club. "Sei mai stato da Alberto?" mi domandò lui, riferendosi al presidente del club. No, è troppo lontano da casa mia, risposi, perché la sede di San Michele al Tagliamento era in provincia di Venezia, quindi un po' lontana. "Ma no, è a Latisana, a un'ora da qui. La prossima settimana c'è il suo compleanno, se vuoi venire anche tu, basta che ti metti d'accordo con lui." Fu così che quella sera stessa telefonai per la prima volta al contatto locale del triveneto, e conobbi per la prima volta l'amico Federico. Che mi disse di chiamare direttamente L'ammiragliato per maggiori informazioni sul compleanno. Quindi chiamai lui, l'ammiraglio Alberto, al numero di telefono indicato sulla fanzine del club. E sentì per la prima volta il suo "SAAALVE!". E sapeva benissimo chi ero, perché apprezzava e pubblicava regolarmente sulla fanzine le vignette che io mandavo ogni tanto.
Quella lunga storia era iniziata tutta un po' di anni prima, con un numero: quello della mia prima tessera STIC, della mia iscrizione al club. Le mosche bianche, eravamo considerati allora. E certo, un film ogni due anni, una serie TV che si vedeva raramente, e solo in orari da nottambuli. Nessun'altro sapeva cosa fosse un'Enterprais, nemmeno come diavolo si scrivesse.
Mi sono chiesto spesso caro Alberto, se quando hai compilato quella tessera ti sei soffermato a pensare qualcosa come "Questo è fortunato, un numero netto, facile da ricordare!" Così come hai fatto probabilmente con il 100, il 200, e poi col 500, il 1000, eccetera. A me toccò il 300. Non 299 e nemmeno 301. Trecento, come i guerrieri di Leonida alle Termopili. Impossibile da dimenticare, e infatti lo ricordavate sempre quando dovevo rinnovare, tu e Gabriella. Anno di iscrizione 1988. Abbonato qualche mese dopo avere letto dell'esistenza del club sul Cosmo Informatore della Editrice Nord. Eppure non ti ho conosciuto personalmente prima di quel giorno del 1994 (o era il 1995?). E non avevo ancora idea dell'effetto domino che avrebbe scatenato negli anni a seguire.

Intanto quel primo giorno conobbi te, conobbi Gabriella, e Nicola, ed Ennio, e tanti altri.
La seconda volta invece venni in treno, una domenica. Quaranta minuti fino a Latisana, e poi un passaggio da un volontario fino a San Michele, e oltre, costeggiando il fiume tagliamento, quando sulla destra appariva il cartello "via G. Cassi", e capivi che dovevi svoltare. "Per cosa sta quel G prima del cognome?" ti domandai in uno di quei primi giorni.
"Io lo so," rispondevi allegro "Ma non te lo dico, perché ti lascio indovinare, ma non ci arriverai mai!".
Quel giorno lo impiegammo a impaginare (proprio nel senso di mettere insieme le pagine di carta) un numero dell'Inside, la rivista ufficiale, e fu maledettamente divertente, anche se eravamo solo in 4, e alle 20 avevo il treno del ritorno.
La terza volta per invogliarmi a venire mi dicesti che arrivava anche una ragazza molto carina di Trieste. Ma avevi torto, perché era bellissima.

A cos'avrai pensato in quel momento, amico mio? Quella notte del 2 gennaio di quest'anno, quando un infarto fulminante ti ha portato via, troppo presto, dannazione? Anche tu nato nel 1964, stessi imput giovanili, stesso telefilm visti alla stessa età, poster simili alle pareti, e tanto altro. Avrai avuto il tempo di realizzare che era arrivato anche per te il momento per intraprendere il viaggio verso quel paese inesplorato da cui nessuno ritorna? O sei riuscito a pensare alle persone che ti volevano bene, al vuoto che avresti lasciato nelle loro vite? Ti sei mai reso conto davvero di come anche il solo conoscerti abbia cambiato la vita di molti di noi, che quell'effetto domino era accaduto su grande scala? Che prima di conoscerti ed entrare in contatto con ciò che avevi creato eravamo tante mosche bianche che guardavano qualche vecchio telefilm fantastico o tutti i film fantastici che trovavano. E solo dopo abbiamo imparato che una mosca sola è bianca e niente altro, ma tante mosche sono uno sciame. Ed essere in uno sciame è bello.
Ma come tuo solito l'hai sempre minimizzato, non te la sei mai tirata. Non hai mai pensato di essere stato così importante.

Ora vorrei ricordarti qui, perché ti divertivi a leggere quello che scrivevo, e te lo devo. O almeno vorrei farlo. Ma scrivere non è mai stato così difficile, e le parole sono come macigni, e non ce la farò mai a metterle tutte insieme. Trovare concetti e parole che non sembrino retoriche o scontate, e ho la segreta certezza che fallirei miseramente.
Non ci proverò. Non ne sono capace, lo so. Non insisterò nel dire cosa sei stato, cosa hai fatto di importante, qualcuno sarà di certo più bravo a farlo di quanto non possa riuscirci io. Io non sono un essere logico e razionale, ma una povera unità carbonio, e mi devo adeguare. Scelgo di ricordare l'amico che mi mancherà usando le mille immagini che mi vengono in mente.
Quella mia prima volta - per esempio - fu la prima volta in cui ti rivolgesti a Nicola dicendo "Come sto con la barba?". E da allora l'hai sempre tenuta. Altre immagini: Italia1 che comincia a trasmettere Star Trek: The Next generation nel pomeriggio, a cui tu e Gabri prestavate supervisione per il doppiaggio. Di lì a poco questo evento scatenò un primo grande entusiasmo e creato nuovi appassionati. E d'improvviso mi vedo un gatto che si chiama "Capitan Puccio" (dal "captain patches" originale, ci stava pure bene come abbinamento, accidenti). Puccio, come il tuo storico gatto nero e bianco. Possiamo cominciare.

Certo, c'erano le Sticcon, come dimenticarle? Iniziavano sempre con il tuo "SAAAALVE!" indirizzato al pubblico, e si concludevano con la mega foto di gruppo della domenica sera. Da Modena in poi, per un po' ci fui pure io. E scoprì anche di essere il sosia inconsapevole di Tim Burton. Però là non ti vedevamo mai, perché sia tu che Gabriella eravate sempre impegnati, a fare mille cose e a parlare con mille persone venute da ogni parte d'Italia, che vi vedevano solo in quell'occasione. Ma non era un problema, "Ma ci vediamo la prossima settimana a casa per una pizzata?" dicevate. E si andava avanti fino al lunedì mattina, a contare i sopravvissuti fuori dal centro congressi, per un ultimo saluto e poi tutti pronti a tornare a casa, dove riprendevamo la vita di tutti i giorni, senza romulani, senza klingon, e senza vulcaniani.

Da allora quanti Inside StarTrek da imbustare, francobolli da incollare (con la spugnetta), di tessere rinnovate, di avvisi di rinnovo da inserire nelle buste? Tutti volontari, tutti volti inizialmente sconosciuti, mai più scordati. Quante domeniche passate in questa grande bolgia, a imbustare, francobollare, attaccare etichette, poi solo ad attaccare etichette, e poi solo a imbustare? E poi quando le poste di Latisana non ce la fecero più, quante volte siamo andati direttamente al centro direzionale postale più vicino?
Quante volte abbiamo programmato di vedere un film tutti assieme, ci radunavamo a San Michele e poi tutti in carovana in autostrada fino a Marcon (quasi Venezia), per vedere Titanic, il primo X-Men, o per vedere il primo Matrix. E ogni volta mi ripetevo "Mai più! 200 chilometri per vedere un film? Non è cosa!" Ma era maledettamente divertente, anche per le sovrumane cavolate con cui tutti quanti ridevamo durante il viaggio di ritorno.
Avevi ogni libro disponibile, ogni nuova rivista, ogni fumetto che avesse odore Trek. E se ti chiedevamo di sfogliarli, ci chiedevi di lavarci prima le mani. Pensa a come ti osservavano i nuovi arrivati, a quella strana richiesta? Noi no, avevamo imparato. Eppure una volta mi presentai con un libro che tu non avevi. Ma millantavo credito, perché era un'antologia britannica di racconti, ed era il mio unico libro Trek in lingua inglese. La serie completa rimaneva sempre la tua. E i pupazzetti nelle loro confezioni originali (quasi tutti), e le cose perdute nel tuo studio "Sono sicuramente qui, non è un problema, prima o poi le ritroviamo" quando cercavi di negare la presenza ovvia di una singolarità in qualche oscuro angolo vicino al termosifone. E la leggenda metropolitana di quanto fosse buono il salame con la Nutella, che ci smontasti in un minuto il giorno che osammo chiederti se l'avevi assaggiata davvero.

Fosti tu a insistere molto che dovevo mandare i miei disegni in visione alla Bonelli, perché io ero scettico. Sempre tu a farmi provare la prima divisa, la tua prima da ammiraglio, che aveva cucito tua madre (ora non ci entravi più), divisa che in seguito servì da modello per la mia. E quando mi vedevi indossarla mi dicevi ridacchiando "Ma ricordati che non sei davvero un ammiraglio, eh?".
E i tuoi compleanni. Quando in agosto ci radunavamo da ognidove per partecipare a quell'evento. Ricordavi di quando la notizia finì sul giornale, e ci trovammo alla porta gente che pensava ci fosse una convention? Andasti a rispondere alla porta con un superliquidator ad acqua, già bagnato dalle prime avvisaglie del combattimento all'ultimo sangue (acqua) che ti avrebbe visto vincitore di lì alla fine della sera, ed invitasti i volontari a vedere un filmato a scelta sul megaproiettore in soggiorno, per non scontentarli, tornando subito dopo al superliquidator ed agli agguati nel prato. Quel giorno me lo ricordo bene, perché scoprii che il mio orologio millantava doti impermeabili inesistenti. E poi le grigliate annuali, e un paio di volte anche un banchetto vegano. Cambiavano i dettagli, non l'evento di quella giornata di agosto, in cui quando arrivavo (ma lo ripetevi a tutti quelli del 1964 che già avevano festeggiato) "Ti ho raggiunto, ora abbiamo la stessa età!".
Quando senza mettersi d'accordo tutti ti regalarono confezioni di dietorelle, dalla scatoletta tascabile, al cofanetto per finire col formato fustino? Le mangiasti poi davvero tutte? E quando festeggiavamo anche i nostri di compleanni, da voi. E solo un paio di capodanni, e in uno indossai la mia cravatta azzurra, e sentendomi dire che era quella che avevo da militare mi domandasti come mai fosse azzurra. E io a raccontare tutta la vicenda degli unici DUE battaglioni con la cravatta fuori ordinanza "Per cui io ho quella blu..." spiegavo. "E io ho quella rossa!" mi interrompevi: perché quella storia la conoscevi già benissimo, perché l'altro era stato il tuo battaglione, e ti stavi divertendo come un matto a vedermi raccontare quella storia.

Prima ancora, in piena era analogica, prima di Internet e dello streaming, ci radunavamo un sabato o una domenica da te per le anteprime: fino a 15 persone nel tuo studio, chi arrivato in treno, chi in auto, chi dalla tenda montata nel prato posteriore. Quando Kevin ti spediva dall'america i VHS (rigorosamente in formato NTSC) delle prime puntate di Voyager. Il nostro inglese era modesto, e seguivamo sopratutto le immagini, ma tu fermavi il filmato e ci traducevi certi passaggi (ora l'inglese lo capiamo quasi bene...). A esultare quando ci era piaciuto qualcosa, o a cercare virtuosistici giri di parole, la rava e la fava, quando invece non ci piaceva. Talvolta venivate tu e Gabriella fino a Trieste, per qualche altra visione domestica di gruppo, o per il cinema con il migliore impianto THX della regione (non a Trieste, però). E una volta ti prendesti una passione per i Laserdisc, tu che avevi ancora le videocassette Video2000, con registrato un qualche vecchio telefilm importante, anche se il lettore si era irremediabilmente guastato da anni, e l'ultimo tecnico riparatore si era ormai ritirato a godersi la meritata pensione. Poi arrivò il DVD, ma a casa tua avevi una discreta collezione di videolettori, sia analogici che digitali, degno di un episodio di Cowboy Bebop.

E i capannoni, te li ricordi? Quelle voci incontrollate che giravano sottovoce, che avevate fatto la cresta, che vi eravate arricchiti alle nostre spalle, e costruito "i capannoni", dove tenevate tutta la roba. Talmente esagerata che ti chiedevi come qualcuno potesse crederci. Lo sapevi anche tu, ogni tanto qualcuno usciva sbattendo la porta, contestando le tue scelte. E qualcuno sparlava. Qualcun'altro aggiungeva qualche luogo comune, e il terzo tirava le conclusioni, e queste conclusioni gridavano capannone! "Non è vero, per cui non mi importa." Sarebbe bastato venire a trovarvi, e vedere che non c'erano capannoni nel raggio di 10 chilometri, ma gli scatoloni stivavano ogni angolo della casa. Ti fece male lo scoprire che tra i diffusori di questa voce c'era anche gente che conoscevi?
Il capannone arrivò alla fine, molto tempo dopo, anche se potevi confonderlo con una rimessa, viste le dimensioni, e divenne il magazzino STIC, e in buona compagnia passammo un pomeriggio di una domenica a gettare vecchi VHS che riempivano molti scatoloni, per fare posto a molta altra roba da stivare. Perché la CIC video ti aveva sempre mandato un sacco di roba in visione, ma così, senza impegno (e che non eri mai riuscito a guardare) e noi a turno si leggeva ad alta voce le scritte sulle etichette, per sapere se faceva parte del materiale da salvare, o era da gettare nel rifiuto secco. Io salvai dal materiale condannato 4 VHS di un misterioso "El pajaro loco", troppo curioso di scoprire cosa fosse (vabbè, era Picchiarello/Woody Woodpecker).



Poi tutto si diradò. I mille impegni di tutti quanti, l'imbustamento che passò a Bologna, e gli incontri da te e Gabriella si diradarono. Rimanevano le costanti del tuo compleanno in agosto e qualche serata pub: un giro di mail improvviso che la proponeva, e chi poteva rispondeva. In quelle ormai rare occasioni, per eventi speciali (la vigilia della partenza per gli states di Uno, il ritorno in regione di Due, la prima marmotta che si svegliava e veniva a bussare alla finestra) due o tre volte all'anno (ma anche meno) in cui ogni volta il nostro aspetto cambiava, con i nostri capelli (o la tua barba) che ormai erano color cenere. E si andava avanti a Club Sandwich e Lord Byron, e birre che io non ho mai saputo distinguere (per sceglierla seguivo la marea), e la tua Coca Cola Light, per non parlare delle volte che ti portasti da casa il the speciale, perché eri a dieta, e al barista dicesti "A me niente, grazie, mi sono portato la bevanda da casa.", e tutti gli altri giù a nasconderci sotto il tavolo.
E poi il resto, tra le altre cose. Il condividere le gioie quando le cose andavano bene, l'ascoltare quando le cose andavano male, e i cazzettoni amichevoli quando mi lamentavo troppo delle mie vicende, così come i ceffoni virtuali di Gabriella se facevo la stessa cosa con lei (e per cui la ringrazio ancora). E i racconti sul dietro le quinte degli ospiti, sugli "incidenti" di percorso, sulle sticcon, sui libri o le iniziative trek prossime venture.
L'ultima volta che ci siamo visti era stato a novembre, al centro commerciale di Trieste, per la convention di fumetti, dove ci eravamo trovati davvero in tanti, a sorpresa, attorno al banchetto STIC, senza nemmeno essersi messi d'accordo. In alto ho messo la prima foto che ti scattai. Qui sotto adesso metto l'ultima. Lo so, non è il massimo, ma non puoi mai sapere quale sarà l'ultima foto.


E poi... no, credo che questo possa bastare. Immagino si sia capito il senso del discorso.
Lo sai che solo adesso che non ci sei più sono riuscito a capire (sempre che sia vero) per cosa stava quella G nel nome della strada? In un'articolo su un giornale locale, nell'occasione della notizia della tua morte. E se prendo quello che ha avuto la geniale trovata di convertire il nome Cassio in Cassi, lo faccio correre fino ad un qualsiasi orizzonte degli eventi...

Ecco qua. Sono riuscito finalmente e mettere assieme quasi tutto: so di avere sicuramente scordato cose più importanti, ma non esiste la perfezione, arriva il momento in cui devi dare il final cut, che sia tutto a posto o meno, sopratutto se sei andato a canovaccio, irregolare come le molecole di idrogeno nell'universo.
Solo ricordi, appunto. Ma non li baratterei mai, nemmeno con quelli di avere visto navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, o raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.

Se riesci a sentirci, non devi preoccuparti: le serate al pub le faremo ancora, e Gabriella è sempre una parte della nostra famiglia, perché certe buone abitudini non devono morire, mai. Se le lasci morire, ti lasci morire un po' anche tu.
E quel 2 gennaio è già morto qualcosa dentro tutti noi che ti conoscevamo, e vorremmo fosse l'ultima cosa morta con cui avere a che fare da qui all'eternità.

Eppure quel giorno, quello del tuo funerale, sei riuscito a fare un piccolo miracolo. E non parlo per il sole spettacolare che è sbucato fuori dalle nubi di quel mattino uggioso, mentre eravamo a darti l'estremo saluto in cimitero, anche se è sembrato che da lassù ci stessi dicendo "Sono arrivato, state tranquilli e non litigate, okay?"
Il miracolo è un altro. Tu, che cercavi sempre di mettere pace tra i litiganti, che avevi sempre una buona parola per tutti, che davi sempre un'ultima possibilità ad ogni unità carbonio, ci sei riuscito pure stavolta.
Seppure nel momento estremo, sei riuscito a radunare in un unico posto, in un unico grande abbraccio, gente che non si vedeva insieme da decenni, gente che s'era allontanata sbattendo la porta, così come i millantatori dei capannoni. E tutti insieme non li avevo mai visti, nemmeno alle Sticcon. Tutti uniti nel dolore. Un'impresa statisticamente e umanamente impossibile. Ci sei riuscito, maledizione.
Quando ci siamo radunati nella pizzeria per il pranzo, di colpo quel posto è sembrato diventare una vera Sticcon, con tanti amici colorati che si raccontavano aneddoti che ti riguardavano, e proprio come nelle Sticcon, che alla fine si scattavano la foto assieme, felici di essersi ritrovati TUTTI. In modo che alla fine di quel giorno rimanesse loro almeno un ricordo piacevole.

Se da lassù ci hai visti (e se non hanno qualche arcaico veto per gli alcolici) beviti una Guiness alla nostra salute. Lo so che preferiresti una Coca Cola Zero, ma fai un'eccezione per stavolta, okay?
Un abbraccio.

E a tutti gli altri, chiedo un grosso favore. Solo uno.
Se vi è possibile, vivete per sempre.