domenica 30 agosto 2015

I dimenticati

Cartoomics. Oppure Lucca. O era il Comicon? Forse che era invece l'unica edizione di FirenzeComics? Il luogo non ha una vera importanza, in fondo la stessa scena, con piccoli dettagli che mutano, è accaduta in ogni posto in cui sia stato. La dimostrazione che nulla si inventa, nemmeno nel libero arbitrio, è che certe cose accadono sempre, che tu lo voglia  no. Sai che sono già accadute, e sai altrettanto bene che si verificheranno ancora.
L'evento, appunto. Sei a questa fiera di fumetti. Entri nel salone pieno di banconi, fumetti, gadgets e appassionati. Sei in compagnia di un amico, uno sceneggiatore o un disegnatore come te, il soggetto è diverso ogni volta. Parlate di qualcosa che vi tiene concentrati, della vita, l'universo o Jijè, quando incrociate Tizio, che saluta con enfasi l'amico.
"Ciao come stai?". E inizia una rapida conversazione a due, a cui tu assisti. "Hai saputo di Pippo Pippi? E di Coso sai nulla? Mi diceva cos'Altro che bisogna chiedere a Caio quella cosa cosabile, bla bla bla". Ciò che dice non ha importanza. Il discorso è ogni volta differente.
Ma il finale è uguale. L'amico e Tizio si salutano, Tizio si allontana, tu e l'amico continuate il vostro percorso in messo alla folla, riprendendo il filo del discorso interrotto prima.
"Chi era? Pare che ti conoscesse bene." chiedi tu.
"Bho, sai non ne ho la più pallida idea!" Risponde l'altro.

A volte invece sei tu. Ti salutano, tu ricordi vagamente la faccia, se sei fortunato. Se non lo sei non ricordi proprio. Saluti, perché sì, chiedi come va, ma hai mille dubbi sull'identità di chi hai di fronte.

Le occasioni in cui l'hai conosciuto possono essere tante. Hai chiacchierato con lui in un'ascensore. Gli hai fatto un disegno. L'avevi di fronte ad un pranzo multiplo.
Il più delle volte hai la soluzione a portata di mano, che ti salva, salva la capra e i cavoli, e ti permette di evitare la figura di m**da che sei certi di stare per fare: il pass che portano appuntato sulla giacca.
"E dov'è mai un posto simile?" chiede il solito lettore interrogativo.
Ci pensi un attimo... Ups, é vero, alle fiere fumetto non si usa portarle appese, ma trovi rapidamente la risposta: Alle convention di StarTrek, per esempio... poi rammenti che anche loro da qualche anno si sono convertiti al collare, e al pass appeso. Lo sai. A casa hai una lunga fila di collarini e pass, che ti fissano e ti ricordano tutte le fiere che hai fatto, e tu ricordi benissimo che le volte che ti sei portato il collarino per evenienza te ne hanno dato comunque un'altro, e quando non l'hai portato hai dovuto comprarlo, perché non avevano previsto la spilla sul retro (e dovevi portarlo indosso sempre, vaffanbrodo).
E ricordi anche che ci furono anni in cui quel pass aveva il nome scritto in piccolo, e per quanto fu fingessi di chinarti per fare altro, non riuscivi sempre a leggere. Poi ingrandirono i nomi, e ti illudevi di essere in salvo... ma era già arrivato il momento del collarino. E da allora il pass è sempre girato dall'altra parte.
Anche se alle fiere di fumetti il pass ormai non lo porta quasi più nessuno. Si tiene in tasca, o rimane appeso alla giacca, e viene coperto da sciarpa, giacca o accessorio da cosplay. Lo tengono bello esposto, assicurandosi che si legga sempre, solo coloro che vogliono fortemente essere riconosciuti.

E quindi nulla ti salva dal non riconoscere il tuo interlocutore.
Ma lui si ricorda di te. Perché il più delle volte ti conosceva di fama, sapeva chi eri prima ancora di conoscerti, ti ha cercato, e il momento di quando ti ha incontrato non l'ha mai dimenticato. Ma tu sì. E ti vergogni di ammetterlo. Quante fiere hai fatto? Quante firme alla stampa Bonelli, quanti disegni fatti in 10 minuti o anche meno, per promozione, diletto o divertimento? Non ricordi nemmeno piú i disegni, come puoi ricordarti i destinatari?
Ma c'è di peggio. Avanti, questo è un post di scuse colossali, quindi dilla tutta, Jack.

Hai la coscienza sporca, e ne sei cosciente. Quanta gente ti ha contattato, via voce o mail, o facebook, chiedendoti di dare un'occhiata al loro lavoro. Anche solo per tre parole, ma anche due, e pure una sola, che lo avrebbe reso soddisfatto?
L'hai fatto? Il più delle volte no. Preso dai tuoi pensieri, o dalle scadenze o dalle minacce di Vega, hai rimandato a dopo, a domani, a più avanti. E nel frattempo quell'avverbio di tempo è diventato complemento indiretto: da domani a mai. E tra le volte che l'hai ricordato, un paio di volte hai pure finto di scordartene, perché non avevi il coraggio di rispondere che ti sembravano brutti e senza speranza.
Hai mai dedicato un pensiero al tuo interlocutore scordato, a cosa avrà pensato al riguardo? Avrá capito (speri), ma più probabilmente ti avrà riempito di maledizioni (temi), rivolgendosi al successivo disegnatore della sua lista.
Eppure non ti chiedono tanto. Quanto sono preziosi per te 5 minuti del tuo tempo? Lo sai che il tempo è soggettivo? Quei 5 minuti che per te sono un attimo, per loro rappresentano un'evento. Perché tu interagisci con loro, guardi ciò di cui sono capaci. E vorrebbero che gli dici quelle due parole di cui hanno bisogno.E io? Mi ripeto che lo farò, che ognuno si merita che gli si presti attenzione, che chi sta al di qua di quella linea possa dedicargli un paio di minuti. E poi me ne dimentico. Ma non lo faccio senza rimorso, sappiatelo. Quando me lo ricordo é sempre un colpo. Ma la vita ti riempie di immagini, impulsi, voci e suoni, odori e pensieri. E la tua mente, se é concentrata su un pensiero, non si accorge che intorno a te il mondo continua a girare. Sono colpevole, ammetto questa mio limite.

Quindi, se dopo tutto questo, vi sentite dalla parte dei dimenticati, non abbiatene troppo a male. Sono cose che purtroppo succedono. Mettiamola cosí, tutti ci dimentichiamo di qualcuno, e qualcun altro allo stesso modo dimentica noi.
"Ecco, in quel caso anche tu sapresti come ci si sente" pensate, se vi riconoscete nella categoria e siete molto permalosi.
Tranquilli, a dire il vero lo so già da molto. Ci facciamo compagnia da tempo: non siete mica gli unici dimenticati da qualcuno.

lunedì 24 agosto 2015

Obbiettivi secondari

All'inizio non te ne sei nemmeno reso conto. Ma eri giustificato. Avevi altro in testa, altri pensieri, assillanti. Che ti rimbalzavano in testa, non ti facevano dormire, ti portavano cattivi pensieri. Potevano essere diversi, ma avevano tutti una costante: nuocevano alla tua autostima, finivano per essere denigratori. Tu contro te stesso. Tu, che avendo fallito quell'obbiettivo 
importante, evidentemente valevi meno di zero, e la merda ti circondava, e non ti meritavi nulla di valido in questo mondo. Alla fine eri solo un asteroide perduto oltre l'orbita di Plutone, dimenticato dal sole e dalla sonda Voyager.
Oh, lo sapete bene. Non lo avete provato pure voi, in un qualsiasi giorno nero della vostra esistenza? Mai gridato la vostra rabbia al mondo, trattato ogni vostro prossimo come stupido e insensibile, perché non capiva il vostro dolore? Mai sentiti davvero piccoli piccoli? Magari non tutto questo, non tutto assieme magari, ma in maniera differente. 
Succede ogni volta che qualcosa non va come desiderate. Ogni volta che si fallisce un obbiettivo primario. 
Lo so, c'è una regola che ci insegna ad essere sempre positivi, ottimisti, a credere nei valori di Pollyanna. Che se lo sei, ti accadranno solo cose belle. 
Si, è bello e utile crederci... Ma se non hai il controllo di tutti gli elementi, qualcosa potrà sempre andare storto. E la cosa potrebbe (ma anche no) NON dipendere da te o da una tua azione.
Ormai sono anni che, grazie anche ad una particolare cecità della Dea bendata nei miei confronti, ormai seguo una regola di vita che mi sono inventato tempo fa. Regola che stabilisce che nel corso della nostra esistenza, ci sono due tipi di obbiettivi che dobbiamo affrontare: primari e secondari.
Primari sono tutti coloro che non dipendono solo da te: gli affetti, un lavoro, una malattia improvvisa, perdere una persona cara, ogni cosa in cui devi interagire anche con altre persone, o col fato...

Gli obbiettivi secondari sono solo per te. Sono le piccole vittorie che puoi conseguire tu, da solo. Dove solo a te ed alla tua volontà dipende la riuscita o no. 
C'é poi una ulteriore differenza sui due obbiettivi. 

I primi sono importanti. Maledettamente importanti.
I secondi no; servono solo al tuo morale. Ed a nient'altro.

Ma quando fallisci coi primi, i secondi ti aiutano ad andare avanti. Servono a dimostrarti che non sei un incapace, un freak disadattato, o il bersaglio preferito della sfiga. Ti fanno respirare. Ti danno sicurezza. Dimmi, ti pare poco?
Ma possono esser stupidi. Anzi, il più delle volte lo sono proprio. Obbiettivi inutili ai più, forse ridicoli, ma vitali. Solo per te.

Gli obbiettivi secondari sono ragionevoli, nel senso che puoi raggiungerli senza troppa difficoltà, ma comunque con grande impegno. Sei tu stesso che decidi quali sono, e i modi nei quali ottenerli: completare la serie integrale di Jeff Hawke; riuscire a preparare delle buone crepés; andare un giorno a Tarvisio, perché sì; fare un lungo giro della tua città, a piedi, facendo strade inusuali, o assistere ad un concerto dei Baustelle, usando tutti i tuoi sensi. O completare la collezione di Miaoegizi.
Quando li raggiungi é come una vittoria: una piccola, insignificante vittoria, che non servirà a nulla. Se non a farti sentire ancora capace di ottenere qualcosa.

E prima che possiate dire "hai scoperto l'acqua calda", so benissimo che é solo una evoluzione del vecchio "OK, let's shopping!" femminile. "sei giù? Comprati qualcosa di carino!". Il mio é: ti va tutto storto? Fai qualcosa che ti faccia stare bene, purché per far ciò tu non reca danno ad alcuna creatura vivente (prendere a sassate gatti e uccellini et similia NON è contemplato).
Domanda: e se non ho interesse in nulla? Se non mi vien voglia di fare nulla?
Pazienza. Forse funzionano solo per me, cosa posso dirti? Oppure fai uno sforzo. Trovalo. Ciò che interessa Nino può essere qualcosa di differente per Gino.
Come ho scritto sopra, gli obbiettivi secondari sono personali e non necessariamente condivisibili da alcuno. A Pino sembrerà inutile che tu ti impegni a costruirti con l'aiuto di colla e forbicine proprio QUEL papermodel, o che tu costruisca uno scaffale da parete per i gashopon. Ma dovrà essere qualcosa che tocchi, senti, respiri. Niente film o videogiochi, niente ricordi o input esclusivamente visuali o sonori, ma materiali: che puoi toccare, assaggiare, sentirne l'odore.
Ma é importante. Lo capirai quando quell'obbiettivo lo avrai raggiunto, e sentirai la differenza: 1 a 0, palla al centro.
In questo momento, per esempio, di fronte all'ennesima tegola che cade in testa (e fa male, ahia!), ho solo l'imbarazzo della scelta per trovare nuovi obbiettivi secondari da completare.

In questo modo la prossima volta che dovrai affrontare un eventuale nuovo obbiettivo primario... almeno sarai di buon umore. E tutto il resto a seguire. Perché prima o poi te li troverai di nuovo di fronte, quei benedetti primari.
Dovrai affrontarli, così come lo faranno anche Pino e Gino. Perché questi obbiettivi prima o poi li devi raggiungere.
Perché questi sono quelli davvero importanti.