mercoledì 17 agosto 2016

L'imbroglione

Io sono l'altro. Non ci conosciamo ancora, ma sapete bene che esisto. Perchè sapete, come sa bene anche Lui, che sono nascosto in tutti voi, anche se cercate di negarlo.

Mi chiamate in modi differenti, ma sono essenzialmente la metà oscura, il male oscuro, il pensiero negativo, quella punta di pessimismo che affiora ogni volta che desiderate qualcosa, e vi viene la paura di fallire... quello é il mio grande momento.
Quando perdete un'occasione, io affioro e vi suggerisco ogni negatività, nuocio all'autostima, vi distruggo la fiducia nel prossimo e remo contro qualsiasi giustizia vi aspettiate. Vi sentite dei falliti, delle merde, degli incapaci totali? Il meríto é mio, si. Quando qualcuno vi tratta male io vi faccio tacere, vi suggerisco stupide scuse, e se fate figure di merda potete essere certi che io vi abbia aiutati; io, io, io, sempre io.
Ognuno reagisce in modo differente: qualcuno mi accoglie a braccia aperte, mi lascia prevalere in ogni sua azione, mi usa come giustificazione di ogni sua non-azione. Altri mi combattono, reagendo ad ogni mio intervento o tentativo di farlo, ed é una bella lotta.
Altri invece giocano sporco: Lui, per esempio.

Già, proprio il vostro caro disegnatore, il vostro eroe che combatte la sua malattia degenerativa. Leggete i suoi interventi, ammirate il suo coraggio...
Non vi viene il minimo dubbio che non sia sincero, non dica tutto, menta, vi nasconda i fatti: é un imbroglione, e del tipo peggiore.
Oggi lo stimate per il suo coraggio nell'affrontare la malattia, nel mettersi a nudo e mettere per iscrítto la sua discesa all'inferno. Certo, non vi víene nemmeno in mente che possa avervi mentito: vi ha mai dettto delle volte in cui é caduto? Delle volte che si é incazzato davvero, quelle in cui ha urlato per qualcosa o con qualcuno?
Ogni volta che lui trova un ostacolo, vinco io: un bicchiere o una sedia spostata, quando non riesce ad alzarsi da una sedia o a slacciare la velcro di un sandalo, vinco io. Me ne accorgo dalla rabbia improvvisa, dalle rapide parolacce che sfuggono al suo autocontrollo. Tutti quei momenti che tiene per se, che non condivide con nessuno. "Non sono importanti,“ si ripete lui. 
Ma io sono sempre con lui, gli sussurro che é tutto inutile, che tanto finirà tutto nel peggiore dei modi possibile. Che si sta illudendo, che non guarirà mai, e passerà il resto della sua vita seduto in una carrozzella a motore, senza voce e con le dita contratte. Senza piu disegnare, senza poter sfogliare un libro o un fumetto, senza poter piú esternare la sua creatività?
Ormai ha capito che anche se riescono a fermare la sua degenerazione, non recupererà mai del tutto. Che rimarrà invalido in qualcosa: lo capisce ogni volta che perde qualche capacita, quando gli fanno provare gli ausilii per comunicare, accennano a carrozzine speciali o materassi antidecupito. 



Lui alterna gli umori: tempo fa non riuscì ad alzarsi dalla sedia da solo per un paio di giorni. Niente spinta sufficiente verso l'alto, se ne é rimasto solo e bloccato per un paio d'ore, troppo lontano dall'alarme, ad aspettare che qualcuno si accorgesse di lui: quando passarono per il giro serale, per mettere a letto gli anziani bloccati. E per due ore ho vinto io, perchè si sentiva infine sconfitto, senza piú forza o volontà per reagire.
Poi scoprí che le forze c'erano, doveva solamente sfruttarle meglio: alzarsi al primo tentativo, facendo molta attenzione a dove sistemava i piedi; e una volta sollevato - ma ancora instabile - spingere i polpacci contro il sedile, e ottenere la spinta finale per afferrare il girello deambulatore. In quel momento vinse lui, ma non duró a lungo: due settimane dopo fu la gamba sinistra a tirargli un brutto tiro (e nuova vittoria per me).
Vedete, fino ad allora, i momenti in cui si era accorto di non poter piu fare qualcosa, non li aveva memorizzati. Quand'era stato che aveva usato la stampella per l'ultima volta? O scritto a mano? E il coltello, quand'é stato che l'aveva usato senza problemi?
Risposte vaghe: tra settembre e ottobre, verso carnevale... Ogni volta aveva il tempo di adattarsi, trovare alternative, spostare di una tacca il suo livello di sopportazione.
Ma poi é arrivata Pasqua.

C'erano tutti i motivi per avere qualche giorno di buonumore: tre uova di Pasqua, una Colomba gigante, amici in visita, infermieri contenti di tutti quei colori in camera. Venerdì si sposta dal letto al tavolo per i pasti (tre volte al giorno, andata e ritorno), ma non riesce a uscire dalla stanza per la passeggiata di mezzo corridoio. Sabato fatica ad raggiungere il letto e domenica é peggio: l'umore é pessimo e gli manca ogni voglia di festeggiare. E non ha visite. 
Il piede sinistro non si flette più, non riesce a far forza sul pavimento, rimane sulla punta, e l'andatura é ormai instabile. Non piú sicura.
Io ho la vittoria in pugno.

Lunedì ha uno scatto d'orgoglio e nel corso della colazione si fa aiutare ad aprire una delle uova, e inizia a mangiare cioccolato. Vittoria effimera, perchè il giorno dopo era evidente la diffícolta nel muoversi. E quel peggioramento é stato all'origine del successivo trasferimento all'ospedale di Gorizia: per essere pronti al peggio.
Tutto questo accadeva ormai 4 mesi fa, e da allora ogni giorno lui e io ci battiamo in una lotta all'ultimo sangue, dove io vinco e lui cambia le sue stupide regole assolute, imbroglia, bara, alza i suoi limiti di sopportazione. Fatica a spostarsi, a farsi capire e scrivere sul tablet, prolungando un'attesa per me inutile, e infine arrendersi e lasciarmi vincitore.

Andiamo, qualcuno di voi é davvero convinto che lui, una volta che si ritrovasse definitivamente bloccato in carrozzina, abbia ancora voglia di fare con voi quello che faceva prima? Venire in pizzeria senza poter parlare, facendosi nutrire da voi, bevendo la birra con la cannuccia e guardare voi riuscire a fare tutto quello che lui non puó piu? Festeggiare il compleanno senza avere il fiato per spegnere le candeline? Osservare voi discutere di cinema e fumetti?
Scordatevelo. Cominciate ad abituarvi all'idea, lui non verrà. Non gli interesserà niente di tutto questo, la voglia gli sarà passata. 

domenica 3 luglio 2016

Un anno di piú

Da qualche parte in questo preciso momento, probabilmente in qualche specie di Altromondo, c'è un altro me stesso che sta rientrando a casa per la cena: sta camminando senza fretta, immerso nei suoi pensieri. Ció che lo distingue davvero da me é solo un piccolo dettaglio.
Anche lui, come me, é entrato un anno fa in ospedale per un problema di deambulazione, ma é uscíto qualche tempo dopo, guarito. Zoppica ancora leggermente, ma non era nulla di troppo grave. Continua con la solita vita normale e anonima, uscendo gli stessi giorni, facendo le stesse azioni, vedendo le stesse persone. E siccome abbiamo condiviso la stessa vita fino ad certo momento, so per certo che anche lui ha passato un discreto anno di merda.

Mi é venuto in mente pochi giorni fa, realizzando che era passato un anno dal mio ricovero. Ho pensato a quel giorno, zoppicante ma senza bastone. Al gelato preso con due amici la sera prima, a San Rocco. E a quei giorni pieni di domande, con il cellulare come unico contatto con il mondo al di fuori: e a tutti gli sms con cui informavo tutti dei miei sviluppi, fino al giorno in cui ho intravisto sopra una cartella la scritta "sospetta SLA".

Ho pensato a quel me stesso, ai suoi sogni e i desideri, i suoi mille progetti. Ho realizzato che sono gli stessi pensieri miei, pure se siamo diventati due persone diverse: io ora vengo stimato per il mio coraggio, per la volontà e per quello che faccio e come artista, scopro di avere amici straordinari e insospettabili (e i soliti scassamaroni), articoli su di me sui quotiiani, una pagina wikipedia che non ho dovuto aggiornare io, e amici che si rivedono dopo anni per causa mia. Ma sto diventando un po' troppo cinico.
Lui invece ha una bassa autostima, accetta i compromessi e cerca di evitare di incazzarsi troppo. Ma puó starnutire, scaccolarsi, bere una birra in un colpo solo, tagliarsi le unghie, sfogliare un libro, grattarsi un gomito, alzarsi in piedi, e chiacchierare.
Non sa quanto lo invidio.

sabato 9 aprile 2016

Il limite ignoto

Alla fine non pretendevo tanto. Chiedevo solo un limite. 
Niente di troppo complicato. Qualcosa del genere, che potesse manifestarsi in tempi e modi differenti; talvolta é un semplicissimo stato mentale: due tra gli infiniti atomi che conpongono questo nostro universo, che invertendo la loro polarità causano piccole modifiche alla nostra vita.
Vi pare che chiedessi l'impossibile? Avrei avuto piu possibilità se avessi chiesto un pezzo di luna? Certo, a tutti noi puó capitare di lasciare il posto in bus ad un anziano, e scoprire che é Buzz Aldrin, e lui per ringraziarti ti regala il sasso che aveva per caso in tasca, un ricordo di una passeggiata lontana.
Invece temo proprio che le mie richieste siano finite sulla faccia nascosta di quel grigio satellite, assieme a Base Alpha e agli sguardi di Syd Barrett.

"La sua malattia," mi ripeterono i medici, otto mesi fa, "é possibile stabilizzarla, in maniera da permetterle di vivere la sua vita, di organizzarla per bene, e farla convivere con il disagio del male" (non dissero proprio le stesse parole, ma il senso era quello). Prendi due volte al giorno la tua pillola (bianca) di Riluzolo, e buona fortuna. Avrai sempre una Spada di Damocle sopra la testa, ma almeno per il momento é ben fissata.
Dopo qualche settimana dal mio ricovero in RSA a Cormons, per qualche giorno la stanza singola a fianco della mia ospitó una signora con una patologia simile; ne soffriva da anni, ci conviveva, e solo adesso era arrivata agli estremi. Era bloccata a letto, non aveva voce e da tempo una giovane e paziente badante si prendeva cura di lei. 

Ricordo ancora i suoi strilli quando la badante non c'era, acuti e continui, quelli di chi é abituato troppo bene a non saper aspettare.

Mi avevano lasciato capire che un giorno avrei potuto pure io trovarmi cosí. Ma "un giorno", non classificabile nel tempo; a questo servivano le mie sedute di fisioterapia, ad abituarmi a questa convivenza con quest'ospite non desiderato, a prepararmi per gli anni a venire. A sapere ancora scendere e salire quelle scale troppo ripide che avevo a casa. Fino a quando, un giorno e in una galassia lontana, non sarei piu riuscito a usarla.



Quello che non capirò mai é se il Riluzolo su di me abbia fatto effetto o no: aveva davvero rallentato il mio decadimento, o era inefficace perchè l'origine della malattia era un'altra?
Limiti? Macché. Via, correndo veloce verso la degenerazione, dove pure la mia pazienza ha dovuto rimandare il suo punto di rottura. Eppure continuo a sentire storie di altri malati che sono riusciti a conviverci, a vivere la loro vita; una gamba che si blocca, un ripetuto formicolio di un braccio o una lingua che passa dalle parole ai versi intellegibili. Segnali di allerta, e a seguire una vita vissuta con attenzione, potendo ancora fare un milione di cose.
Eppure dopo meno di un anno eccomi ad uno stadio simile a quello della strllatrice, prima le gambe e l'equilibrio, poi le mani, il collo, la voce, le gambe eccetera.
E poi, si, naturalmente esistevano i casi veloci, piu rari...

Come devo considerare la mia situazione? La realtà é che ci penso da molto, cercando una risposta che potrebbe non piacermi: ho avuto sfiga ad avere la forma "strong", oppure ho avuto qulo?
La forma "tipica" della malattia del motoneurone (o SLA, chiamatela come vi pare) ti lascia un po' di tempo. Ma la sua forma veloce (ho imparato) potrebbe essere curabile. Se si scopre un'origine genetica, una falla nei cromosomi del tuo DNA, non tutto é perduto. 

Per questo sono ancora qui. Sopporto i cambi letto, i cambi di turni di infermieri e operatori sanitari, il ripetere a tutti ció che posso o non posso fare, sforzando la mia non-voce a scandire le parole necessarie e spostando verso un limite ignoto la mia pazienza. Sopporto il trasferimento da Cormons (8 mesi, una vita intera) a Gorizia, "Perchè almeno se lei peggiora saremo piu preparati", i discorsi preventivi su ipotetiche intubazioni e nutrizioni forzate, e quindi sopporto anche tutte le difficoltà di ambientazione e comunicazione, cosí come le difficoltà crescenti a scrivere questi pezzi. Sopporto pure le peggiori di tutte: "Ah, cosi lei fa i fumetti? Ma é vero che usate gli stampini?"
Aspetto che a Milano completino l'analisi interminabile sul mio patrimonio genetico: mi ci aggrappo come un naufrago al suo salvagente. E mi distrae, dettaglio non trascurabile.
L'ultimo limite, finalmente capire se ho avuto qulo o sfiga.
Lo sappiamo bene tutti, solo i nostri desideri non hanno limiti.

domenica 20 marzo 2016

Storia di un'aspirina


Mio nonno materno, mi raccontava molto tempo fa mia madre, aveva l'abitudine di prendere ogni giorno un'aspírina, convinto in questo modo di non ammalarsi mai. Morì per un infarto quando io ero ancora piccolino, lasciandomi come suo ricordo solo delle foto in bianco e nero di altri tempi e il suono della sua voce su alcune bobine di un registratore, marca Geloso.
Mamma e nonna rimasero convinte che fossero state proprio quelle aspirine a provocargli quell'infarto fatale. Io ero ancora piccolo, e rimasi pure io convinto di questo per parecchio tempo.
Da allora a casa mia venne bandita l'Aspro, in favore dell'Aspirina, suggerendomi che il nonno prendesse proprio l'Aspro. E ci volle qualche anno ancora prima che imparassi che erano entrambe Acido Acetilsalicilico, ma di due marche diverse.

Succede. Cresci, impari nuove nozioni, e puoi apprendere di aver creduto in cose errate per troppo tempo. Niente di eccessivamente grave in fondo, la vita continua, e ogni giorno impari cose nuove. Avevo solo scoperto che tutti avevano avuto torto: mamma e nonna nel credere che un‘aspirina di troppo provocasse l'infarto, e il nonno, convinto che l'aspirina preventiva fermasse l'influenza: infatti non é un medicinale che previene, poiché si attiva solo in presenza del malanno, raffreddore o influenza che sia.
Io avevo studiato, mi ero informato, il progresso e il mio interesse nella realtà scientifica mi permettevano di poter giudicare (col celebre e famigerato "senno di poi") le errate convinzioni dei miei parenti. Giusto?

Sbagliato, tremendamente errato, del tutto in torto.
Solo tempo dopo imparai una proprietà dell'aspirina che ignoravo del tutto fino a quel momento: che l'Acido Acetilsalicilico ha funzioni di fluidificatore del sangue, e viene indicato per i cardiopatici.
E improvvisamente capisco che il nonno, cardiopatico negli anni '60, aveva ragione, e probabilmente seguiva le indicazioni del suo medico. Aveva sempre avuto ragione, e moglie, figlia e nipote (io, ahimè) avevamo avuto a nostra volta torto nel giudicarlo.

Ecco, ogni volta che qualcuno mi suggerisce "un buon consiglio" per la mia malattia del motoneurone (la Troia bastarda e infame, e son pure troppo diplomatico...), mi vengono in mente il nonno, le sue aspirine e le convinzioni dei parenti, me medesimo compreso. A come sia facile giudicare dall'esterno, suggerire terapie, panacea, possibili origini ambientali o alimentari.
A come in certi momenti siamo talmente convinti di avere ragione, di essere nel giusto e che non possiamo sbagliarci, anche se non siamo dottori, ingegneri, cuochi o commissari della nazionale. 
O disegnatori di fumetti.

domenica 6 marzo 2016

Il chiodo


Ogni tanto mi viene voglia di fare un di quei cari post di una volta, quelli fumettosi, o metaforici o di informazione, quelli che leggevano in pochi.
Vorrei davvero discutere di fumetti, parlare dell'impressione che ricavo dall'assistere agli sviluppi di mercato, di protagonisti e comprimari.
Ragionare sulle fiere di fumetti, se solo riuscissi a contarle tutte; raccontare di qualche edizione particolare del passato di cui sono stato testimone. O dei miei due Comicon di Napoli, quello emozionante e quello deludente.
Vorrei aprire i cassetti, le cartellette piene di disegni, i taccuini degli appunti. Diffondere i loro tesori, condividere quegli attimi di tempo bloccati tra quelle pagine, e rivelare gli Easter Eggs o i Making Off personali. 
Vorrei continuare a parlare dei fumetti che prediligo, e dopo aver parlato di Jeff Hawke passare anche delle Xenozoic Tales di Mark Schultz (finalmente pubblicato in italiano), o raccontare 1963, il fumetto dimenticato (da tutti) di Alan Moore.
O lamentarmi. Della formula 1, per esempio. Quello spettacolo Meraviglioso che é stato fino ai primi anni di questo secolo, rovinato in pochi anni da regolamenti assurdi e furberie autorizzate. Della scomparsa di un marchio storico come la Lancia, e di vetture leggendarie come Fulvia, Stratos, Beta Montecarlo, 037 o Delta. O spiegare come e perchè le corse di automobili sostituirono e cancellarono il calcio, nelle passioni di un ragazzino introverso.
Dando il mio parere sulle varie serie di Star Trek, e spiegare quale sia stato il grosso errore commesso dai suoi autori (ovviamente a mio personale parere), che mi ha, di fatto, disaffezionato sulle ultime produzioni TV; o del perché, avendo adorato il primo film di Cars, non reggo il secondo. 
Eppure talvolta basterebbe un'oretta tranquilla per battere sulla tastiera una prima stesura.

E invece parlo di altro. Dei miei problemi, di anziani infermi e di pensieri ingombranti. Porto al centro del mio universo solo i fatti dell'ultimo anno. Non esagero a lamentarmi dei vecchi che gridano la notte, non racconto le loro parole cattive perché ho ancora lo scrupolo di non volere violare la loro privacy. Eppure quando senti la cattiveria che mettono nel gridare a figli o nipoti perché non obbediscono ai loro ordini, vorrei incazzarmi con loro. O i casi di demenza senile a cui assisto ogni giorno. O le voci disperata.
Li osservo tutti, coloro che tornano a casa, guariti e felici oppure costretti per il resto delle loro vite a bastone o carrozzina.
Ma questi sono i miei pensieri, adesso.
C'e questo chiodo fisso che continua a richiedere attenzione. Un lungo e fottuto chiodo di cui avrei volentieri fatto a meno, che mi impedisce di perseguire i miei obbiettivi secondari.

Me ne rendo conto mentre mi accorgo del filo di bava che sgocciola dai lati della bocca, sul pavimento o sulla maglietta: già macchiata di suo, perennemente, con tutto quel cibo che mi scappa di bocca. 
Della vergogna, o discrezione, di dover accettare un aiuto esterno anche nella mia pulizia personale, fino a quando davvero non ci faccio piu caso.
Delle volte che penso alle "ultime volte": l'ultima volta che guidato l'auto, ho fatto un bancomat, le crépes, un'illustrazione per Robot, o l'ultima volta che ho aperto un barattolo di Nutella: e di quel barattolo quasi vuoto che tengo sul tavolo, che mi rifiuto di gettare via, nonostante non possa più infilarci un cucchiaio.
E la paura che arrivino le prossime "ultime volte": quando non potró piú girare col deambulatore o mangiare da solo, o mandare sms.
E di come mi sia rotto i coglioni di spiegare ai visitatori COSA ho, per cui da oggi cambierò discorso, con quella parodia di voce che mi rimane.

Certo, continuo ad aspettarmi che tutto questo finisca, e possa incominciare a contare le nuove prime volte, quando ricomincerò a fare tutto, o quasi, e non faró più piú errori battendo sui tasti.
Ma é lí, il maledetto chiodo. Punge, richiede la mia attenzione in ogni momento. Pretende l'esclusiva delle mie preoccupazioni, ora e sempre. Che sia un chiodo o un colombo scagazzone, continua a interferire. E solo io a oppormi.

Una cosa é sicura: in futuro non ci saranno piu chiodi intorno a me.
Solo viti. E un cacciavite sonico per avvitarle...

domenica 28 febbraio 2016

A cinque centimetri dall'inferno

Prima ancora di stabilire delle piccole "regole di sopravvivenza", o anche solo di iniziare a pensare di averne bisogno, facevo molte cose in maniera naturale.

I primi giorni del mio ricovero qui in RSA (Ricovero Sanitario Ambulatoriale) mi comportavo normalmente: andavo in bagno, mi lavavo e facevo la barba da solo, mi cambiavo da solo, mi spostavo, bevevo e dialogavo con tutti. Se mi serviva qualcosa mi alzavo e lo prendevo, il tutto lentamente, ma con sicurezza.

Tenevo la mano allenata, disegnando e scrivendo ovunque, idee o versi della Divina commedia, ma anche solo 'Il mattino ha l'oro in bocca' ripetitivamente, in file ordinate. In fondo dovevo tenermi attivo, e quello era ció che facevo.

Poi, quando fu evidente che peggioravo, immaginai che avrebbe potuto arrivare un giorno in cui non sarei più riuscito a fare molte di quelle cose, o avrei avuto bisogno di aiuto per farle, come se fossi stato un vecchio. Avevo un'immagine legata alle conseguenze finali di un'inattesa malattia degenerativa: mi vedevo fare il cosplayer di Stephen Hawking, testa piegata e carrozzella a motore, mentre un sintetizzatore vocale esclamava EXTER-MI-NAATEE! Non sarei arrivato a quel livello, mi sarei impegnato a evitarlo. Ma avrei potuto arrivarci vicino.

Comunque era stato ben presto chiaro che la mia sarebbe stata una battaglia contro un'inesorabile, carognosa clessidra.
Ora vi chiederò un piccolo sforzo di fantasia, ma non turbatevi, in fondo vi costerà meno tempo di quello che ho impiegato io a scrivere queste righe.
L'avete presente una clessidra? Quell'antico oggetto per misurare il tempo, usando la sabbia.
Adesso immaginate che la sabbia rappresenti il pieno controllo del nostro corpo.
Normalmente scorre lenta, ma se si guasta qualcosa di imprevedibile (la gravità, per esempio) essa accelera. E scorre a velocità smodata.
Ecco, sono una clessidra impazzita. Che ogni giorno che passa scopre di avere perso qualcosa, ma si augura che non sia per sempre. Puoi rallentarla, provare a inserire un tappo, ma fino a quando un intervento esterno (una cura) non sistemi tutto, la sabbia continuerà a cadere, che tu lo voglia o no.

Non ripeterò qui cose già dette nei post precedenti, come quali capacità ho perduto o quando.
No, oggi parlerò di rimedi e inferno. I primi sono tutte quelle regole per sopperire a queste capacità perdute; il secondo é ciò in cui piombo se una di queste regole viene (inconsapevolmente) sabotata.

Mesi fa riuscivo ad alzarmi dal letto da sdraiato, a mettere i sandali, levarmi in piedi e iniziare a muovermi col deambulatore. Accoglievo gli amici in visita nelle sale apposite, e poi mi risedevo sul letto e slacciavo i sandali chinandomi. Ma diventava ogni giorno più difficile, fino a quando alzarmi da sdraiato mi é diventato impossibile. La sentite la sabbia che scorre? Shussss...
Ma ci riesco ancora se sul letto sono seduto davanti ai cuscini, e la parte superiore del letto sollevata. Rotazione del corpo, giù le gambe, spinta di braccio e gomito, e mi ritrovo seduto sul bordo. Shuusss... e per riuscire ad alzarmi devo prima sollevare tutto il letto. E come gli indosso i sandali da qui in alto? Problemi, sempre problemi, e io a cercare di risolverli.
Col letto vecchio tipo che avevo, il telecomando aveva un filo lungo, e si poteva tener vicino, e così alzavo e abbassavo, riuscivo a essere autosufficente. Ma poi si guastò.
Il nuovo letto ha un telecomando che va appeso, e mi é impossibile usarlo con le mie dite contratte (Shhuusss...). Che faccio ora?
Ci metto qualche giorno: sponda destra alzata, telecomando appeso e rivolto verso me. Prima di scendere sollevo il letto (usando le nocche della mano sinistra, shuuuuss...), indosso i sandali in automatico, senza mani. Per sedermi é un casino: in piedi, devo andare sul lato destro del letto e abbassare tutto usando i polpastrelli. Poi tornare dall'altra parte, sedermi, togliere i sandali, eccetera. Faticoso, ma si fa.
"Si, ma se sei sdraiato come fai ad alzarti?". Giusto: chiamo un infermiere. Ogni tanto devi accettare dei compromessi.

E poi le sedie. Shhussss... e diventa difficile alzarmi da un tipo di sedia, e ho dovuto iniziare ad evitarle a seconda del tipo e poi ad evitarle tutte, a meno che avessero braccioli lunghi (per darmi una buona spinta con le braccia) e fossero appoggiate al muro (quindi stabili).
la sedia dei pasti é cosí: inclinata sui 30 gradi verso il tavolo, certo non é il miglior modo per mangiare, ma una volta terminato basta una spinta e si appoggia al muro. Spostala pensando di farmi un favore, e mi avvicini all'inferno.
Sul tavolo, ben posizionati a distanza di avambraccio ci sono una confezione di fazzolettini, bottigliette d'acqua e bicchieri  di plastica. Spostateli, mettete qualcosa davanti e mi renderete un'inferno raggiungerli. Gettate via i fazzolettini stropicciati che lascio in posizione, perchè ormai mi é impossibile metterli o toglierli dalle tasche, e quando starnutirò o mi colerà il naso e non li troveró, dovró usare il braccio, il lenzuolo o la maglietta (rigorosamente in quest'ordine).
Ormai da mesi le dita non collaborano. Le falangi contratte, pollice che non collabora con l'indice, e ti priva di quella facoltà che permette che l'uomo possa raccogliere una palla mentre il gatto no, solo tirarla: il pollice opponibile. Il tutto non mi permette nemmeno piú di riuscire a fare il saluto vulcaniano...
Per prendere in mano qualcosa devo usare in maniera creativa tutte le altre dita, mentre riuscirei facilmente a tirare una palla, privando di questo piacere un gatto. Per voltare le pagine di un libro (ebbene si, talvolta uso ancora questo oggetto arcaico) lecco la punta del mignolo, perchè é il dito che riesce a tendersi meglio; mesi fa solo la mano sinistra era menomata, ma poi Ssshuuuss...
Niente piu film sul portatile, visto che ormai tenere un mouse (e controllarlo) é impossibile, e fanqulo alla clessidra (shuuuusss...).

Resiste il tablet (Steve Jobs santo subito), grazie alla penna che tengo con indice-medio-anulare, anche se sbaglio una lettera su dieci. E no, il mignolo non si offende, in fondo ha l'esclusiva sulle pagine di carta, quindi lui, che puó, se la tira alla grande. 

Dimenticavo, la voce é partita, ciao ciao. Via via piú confusa e lenta da mesi ormai, infine se n'è andata, lasciandomi con un birignao semi incomprensibile nelle giornate no, e una parvenza di comprensione nei giorni si. Shhuusss...

Se mi chiedete come sto, la mia risposta abituale rimane la stessa da tempo: sto benino. Vedo un bicchiere mezzo pieno, posso ancora muovermi e fare cose, seppur limitate, per cui (nonostante la situazione de merde) in fondo non é troppo male.
Ma se vi scappa un "Allora stai finalmente meglio?", otterrete solo di farmi girare le scatole e le palle (rigorosamente in quest'ordine). Fate voi, vi accolgo seduto sul letto, mi arrabbio se spostate il comodino o chiudete la porta del bagno, non scrivo e non disegno e non mi lavo da solo, vi sembrano reazioni di chi stia meglio?
Non facendo nulla per bloccare davvero la sabbia da quella clessidra? Rimanere qui, continuando a prendere Riluzolo (o Rilutec), facendo fisioterapia, é come essere dentro quell'oggetto infernale (la clessidra) e cercare di rallentare quella massa di sabbia con le tue mani: non serve a molto, ma é tutto ció che puoi fare. Ed é sempre meglio che non fare nulla.
E tutto questo si puó fare mantenendo un atteggiamento positivo, usando ironia e sorrisi.
Ma l'inferno é sempre vicino, ben nascosto in un bicchiere spostato distrattamente o in una sedia in posizione comoda. 
Ma dovevo aspettarmelo: l'inferno non é forse lastricato di buone intenzioni?

Dimenticavo: se per puro caso qualcuno ritrova la mia voce... può riportarmela?

sabato 23 gennaio 2016

In equilibrio sopra un cornicione, al milleunesimo piano


Un antico detto, che potrebbe essere medioevale o cinese, ma che potrei anche avere inventato io stesso (e quindi non sarebbe nemmeno troppo antico), dice che se sei preparato al peggio, non rischierai mai di rimanere deluso, di trovarti spiazzato.
Probabilmente lo inventai (o lo adottai) dopo una serie di delusioni giovanili: un brutto voto a scuola, un regalo atteso mai arrivato, il Toro che perde un campionato e in classe con te son tutti juventini, James Hunt sconfigge Niki Lauda e cose del genere. Oppure dopo eventi più gravi, come la morte di papà quando avevo dodici anni, per cui ora sapete perché non so nuotare e neppure andare in bicicletta.
O quando, nello stesso anno perdi lavoro, affetti e famiglia, che é bello pesante per chiunque. Anche quando percepisci indifferenza per il tuo lavoro (da parte dell'editore del momento), o un altro editore ti manda a puttane un progetto al quale avevi donato l'anima. La lista potrebbe continuare, ma ve ne faccio grazia.

Per cui, in questi miei otto giorni milanesi di ricovero ed esami presso l'istituto Auxologico "San Luca", mi ero già immaginato tutti i peggiori scenari possibili per i miei motoneuroni malandati.
Sì, le avevo sentite le storie dei casi incredibili, di malati gravi con sintomi simili ma cause differenti (e curabili), ma ritenevo fossero casi limite che sfuggivano ogni statistica.

Quando il professor Silani, primario dell'istituto, mi ha detto che purtroppo i neurologi di Gorizia avevano ragione, non ci sono rimasto troppo male. "E ti pareva, e vai di Sfiga...". Preparato al peggio, ed eccolo servito, questo peggio. Niente grida o altro, come un astronauta dell'Apollo, avevi già immaginato ogni risposta possibile e tutte le tue reazioni.
Eccola qui, la temuta verità che emerge: ho danneggiati sia il motoneurone A (cervello-midollo spinale), sia quello B (midollo spinale-estremità); ergo questa si chiama SLA.
Fine, punto, che altro si aggiunge? 
Tutto il resto, per esempio. Perché essendo io in quel momento in uno dei principali centri di studio della malattia (se non il principale) la seduta non si conclude con un saluto, una stretta di mano e avanti il prossimo.
Abbiamo parlato per un'ora, durante il quale mi é stato fatto il punto sullo stato della ricerca, e ascoltare quella storia é stato stimolante.
Ma oggi rimaniamo su di me: la malattia può essere lenta, rapida e ultrarapida, a me é capitata la seconda (alé). Dietro mia autorizzazione continueranno a sottoporre a esami ulteriori i miei "campioni", per me e per la ricerca scientifica. Verso marzo avranno completato il tutto.
Se non trovano alcuna mutazione genetica, sarò un paziente normale, e potrò rientrare in un protocollo di ricerca sperimentale (che è sempre meglio di nulla); ma se trovano una mutazione (ipotesi comunque remota) allora divento paziente "con causa", e potrà partire una cura specifica. E contribuirò alla ricerca (e diventerò davvero un X-Man!).
Se la malattia riesce a essere fermata, il recupero sarà lento, ma promettente. Tutto ciò che devo fare io é resistere, e continuare la fisioterapia, e ancora e ancora e ancora. Semplicissimo.

Ecco qui. Cinque giorni per scrivere questo pezzo, per rispondere nel modo più preciso possibile alle mille domande che mi arrivano da lunedì. Spero sia sufficiente, anche se sicuramente avrò scordato qualche dettaglio fondamentale.
Cosa penso adesso? Molte cose, perlopiù inutili. Temo di non essere un eroe: sono solo un tale che si ritrova a camminare sul cornicione di un palazzo alto alto, che non guarda in basso, e che cerca una finestra aperta, sopportando i colombi e il vento, ripetendo come un mantra ipnotico tutte le parolacce del mondo, e a non pensare all'altezza.
Quindi, nel caso che vedendomi di persona vi possa sembrare un po' irritabile o alterato, immaginatevi su quel cornicione, circondati voi da colombi scagazzoni, e tirate le somme.
Tranquilli, vi voglio sempre bene, anche se occasionalmente vi posso mandare a quel paese, ma come essere umano, ho reazioni umane.

A tutti gli altri, coloro che si lamentano della propria vita, del proprio lavoro, della propria donna che ingrassa e del proprio foruncolo sul sedere, be'... vorrei dirvi che farei volentieri cambio con voi. Senza pensarci troppo, sappiatelo ;-)

domenica 10 gennaio 2016

Motoneuroni ed Entropia


Se proprio vogliamo trovare un argomento di inizio per tutto, possiamo parlare della pioggia. Quella persistente e fastidiosa pioggia che durò per buona parte dell'estate del 2014. Inopportuna, quando dovevo uscire per fare la spesa; quell'uscita che facevo da sempre, una o due volte la settimana, a fare rifornimento di pasta, verdura e frutta, oltre a eventuali pennarelli o cartoncini. Quando rientravo a casa, a piedi, con le borse e le mani piene, perché se devi fare la spesa, la fai tutta. E se piove non puoi tenere anche l'ombrello, e così finiva che prendevo l'auto.

E quindi niente passeggiata tradizionale di un paio di chilometri, ogni settimana, regolare negli ultimi dieci anni. Salta un giorno, l'altro ancora, il percorso fino alla panetteria dall'altro lato della strada non vale a fare statistica.
Ti sposti in auto, niente chilometri a piedi... e quando ti accorgi che zoppichi, in autunno, hai già una prima ipotesi: poco moto. Aggiungi le scarpe di tela piatte, comprate a primavera, dopo anni di calzature leggermente rialzate dietro... che sia anche problema di postura?
Scarpe nuove, e il passo migliora. Problema risolto?
No, continuo a zoppicare, uffa. Con quale gamba? Non si capisce.

Arriva febbraio, la vita é proseguita... Ho usato le mani per molte cose oltre al lavoro, e mi accorgo di una leggera difficoltà a stringere le cose con la sinistra. Un giorno dovrei salire su una sedia per prendere una cosa su uno scaffale (quante volte l'ho fatto?); la gamba destra si solleva, il piede poggia stabile sul sedile. Tra un po' ti darai la spinta, e sarai in piedi sulla sedia. La spinta arriva... ma non accade nulla. Non si solleva nulla; cambio gamba, ma nulla. Questo é un bel problema. Non è normale.
Comunque, passo l'inverno a recuperare in passeggiate, e lo zoppicare continua.
In quel momento mi ricordo anche quando recentemente sono incespicato e caduto, o quando hai perso per qualche secondo l'equilibrio, e realizzo che forse é tutto collegato.
É il caso di andare dal medico di famiglia.
Una settimana di attesa, e in dieci minuti di visita mi prescrive esami del sangue, e mi dice di continuare a far moto. Un mese di attesa ed ecco fatto: sono perfetti, e quindi? Radiografia della schiena. 
Altre settimane di attesa. Il radiologo di turno é un vecchio amico, e quando vede il mio passo e la cadenza ormai sbilenca, moltiplica i raggi. Dopo un'ora ecco risultati e diagnosi: ossa a posto ovunque. Avanza l'ipotesi di possibili problemi reumatici. 
Potrebbe essere? In fondo la casa é un po' umida da sempre. Il medico di famiglia deve scegliere tra mandarmi da un reumatologo o un neurologo. Opta per il primo.
Questa volta l'attesa per la visita é di due mesi. Ma se vado privatamente me la cavo in un mese.
Nel frattempo ho continuato a muovermi. Continuo a zoppicare, più forte, e cammino chinato in avanti, e lo capisco da solo che non va bene; in più, la mano sinistra comincia a non funzionare: poca forza, dita che tendono a chiudersi ad artiglio.
In queste condizioni la vita di tutti i giorni diventa difficile. É difficile cucinare, lavare i piatti, tenere fermo uno squadretto per tirare una linea o tenere fermo un foglio per sgommare. Se mi chino lateralmente da una sedia, manca la forza per risollevarmi. Posso guidare l'auto, ma girare il volante richiede il doppio della forza, e il collo non si gira bene per vedere dietro: meglio non usarla. Finisce che mangio solo pane e prodotti da microonde. Non ci faccio caso, ma inizio a dimagrire per questo motivo.
Arriva il giorno della visita, in ospedale "Ma lei ha forti dolori?"
No. "Allora non sono reumatismi". 
Okay, panico. Allora cos'è?
La dottoressa é estremamente cortese, e in 5 minuti mi fissa un appuntamento col neurologo del piano di sopra, per la settimana dopo.
E qui mi ritrovo a pensare: "Ah, se il mio medico mi avesse prescritto subito il neurologo...". Probabilmente i tempi di attesa triplicavano, visto che negli stessi giorni ad un amico l'appuntamento l'hanno dato in ottobre.

A questo punto le date successive le ricavo dalle foto del cellulare.
Le passeggiate le proseguo, ma solo nelle vicinanze. Sono belle giornate di sole, si preannuncia una calda estate, e la promessa verrà mantenuta. Scatto foto ai giochi di luce del sole, a quartieri che non osservavo mai per davvero.
Il 12 giugno esco per l'ultima volta con gli amici per la spesa al centro commerciale sloveno. Pranzeremo in pizzeria a Solkan, ma già sto seduto troppo scomodo, e tornerò a casa prima del tempo. Un sabato mi concedo un ultimo gelato ai giardini di Corso Verdi, seduto su una panchina diventata ormai scomodissima, e il ritorno a casa é sempre traballante. Due giorni dopo interrompo la passeggiata dopo 100 metri.
Il 19 ho la visita col neurologo. Dopo 10 minuti ha chiaro di cosa possa essere, ma per esserne certo devono farmi degli esami, quindi verró ricoverato in ospedale, appena si libera un posto. Avverto in Bonelli che non spediró pagine nuove per un po', sbrigo altre scadenze, mando mail. Passerà una settimana nell'attesa.

Il 25 entro in ospedale, reparto neurologia. Divido la camera con Emiliano, affetto da sclerosi, bloccato su carrozzina, colpito da una crisi mentre era a casa. Ho con me solo il cellulare per tenermi in contatto col mondo. Nei giorni successivi iniziano gli esami.
Nel frattempo mi muovo per i 29 metri (misurati solo per passare il tempo) del corridoio del reparto, appoggiandomi ogni tanto alle maniglie fisse alle pareti. Mangio da solo, mi lavo da solo, leggo libri, faccio foto col cellulare ai cieli o ai particolari curiosi. Ho il taccuino, su cui disegno e scrivo riflessioni.
Gli esami si susseguono: elettromiografia, risonanza magnetica, pneumologia, e forse ho pure sbagliato qualche nome.
A questo punto (metà luglio) il dottore mi fornisce le risposte tanto attese.

É la malattia del motoneurone. Mi dicono essere rara, e scoprirò tempo dopo che siamo 13 pazienti nella provincia, e 100 in regione. A me sembrano pochi, ma imparerò che sono cifre alte. Malattia inesorabile, della famiglia della SLA, apparentemente senza rimedi, ma con un punto a favore: puó essere fermata. Dopo spetterà a me cercare di recuperare il piú possibile con l'esercizio fisico. Ma questo non m'impedirà, da adesso in poi, di rimanere sotto costante controllo medico. Ma mi dicono che molti malati hanno impiegato molti anni per peggiorare, per cui posso rimanere positivo. Almeno quello!
Ma come puó succedere, quali sono le cause? Qualcosa che ho fatto?
No, succede e basta. Cause sconosciute. A quanto parrebbe il nostro sistema va in tilt, e il cervello (o un suo socio bastardo) emana una sostanza che uccide i neuroni che si occupano di trasmettere i movimenti ai muscoli.
Ma esiste la pillolina portentosa: si chiama Riluzolo, ed é l'unica sostanza che "blocca" questa sostanza killer. 

Si, tranquilli, quel pensiero mi é venuto: "Perché io?"
Perché devo rientrare in una statistica piú improbabile di una vincita al lotto? Che razza di ricompensa é, per essere rimasto per anni paziente, moderato, tranquillo? Dov'é la giustizia in tutto questo? Tanto valeva essere stronzo e bastardo!
Non serve a nulla. Ma anche se mantieni un cauto ottimismo, devi essere pronto al peggio. 

A questo punto dovrei tornare a casa, ma il programma viene presto modificato in ricovero all'RSA di Cormons. Nel frattempo mi trasferiscono due piani sotto, in cardiologia, in attesa che si liberi un posto per me, e faccio in tempo a vedere un'entusiasta anziano moldavo che nessuno comprende, e assistere ad una crisi cardiaca serale di un signore che s'innervosiva troppo di giorno.

La fascetta che porto al polso mi ricorda che arrivo l'8 luglio a Cormons, al Ricovero Sanitario Ambulatoriale (da qui in poi abbreviato in RSA), presso l'ex ospedale locale: sono attivi alcuni laboratori al piano terra, RSA al primo piano, casa di riposo al terzo e quarto, un bel giardino e due grossi gatti che girano nel prato. Una volta era un ospedale completo, ma a meno di un quarto d'ora dall'ospedale di Gorizia, e il suo destino era segnato.
Arrivo in ambulanza, portato sdraiato in barella, mi sistemano in una camera singola, vista sul cortile interno. 40 posti letto, finisco nella stanza 126. Ma alla sera il sole batte sulla finestra, e illumina il letto. Dai, non é cosí male, anzi.
Dal mio punto di vista si mangia bene. Ben presto comincio le sedute giornaliere di fisioterapia, conosco il personale ed i pazienti, e coi miei 51 anni sono il più giovane. Mi pesano, e scopro di essere dimagrito di 7 chili rispetto alla mia media. L'effetto della pessima nutrizione del mio ultimo mese a casa.

Mi muovo aiutato da un bastone tenuto con la mano destra. Ma é troppo corto, e sto troppo piegato. Peró insisto a muovermi, per recuperare. Ogni giorno faccio più di un'ora di fisioterapia, salgo e scendo una rampa di scale; insomma, mi impegno.
Mi prestano una stampella canadese, e il passo migliora. Mi faccio portare dei fogli A4, e con un tratto Clip improvviso disegni astratti, che faccio per tutto agosto, e poi finiscono sulle pareti. Sulle altre stazionano alcune stampe di miei disegni, e poster artigianali di Kylie Minogue, Jasmine Ghauri e Koda Kumi, e sulla finestra c'é un Tardis, tutto fornito dall'amica Miri. Appeso in alto un peluche del licantropo di Halloween della Kinder, sul comodino la Monster High Draculaura. Questa é la mia casa a tutt'oggi.

Passa a vedermi il fisiatra primario del distretto, e mi giudica promettente. Muovo bene le gambe, lui mi consiglia dei tutori per le mani (arriveranno a settembre) e un supporto per il collo (novembre). Arriva l'esperta che mi dovrebbe dare consigli utili per la vita quotidiana. Quando mi mostra il programma di computer secondo cui potrei continuare a disegnare, realizzo che non ha idea di cosa 'sia' disegnare. E che quando anche la mano destra si chiuderà ad artiglio come già sta facendo la sinistra, saró fottuto.

Eppure insisto. Nell'attesa dei tutori veri, me ne invento uno artigianale con un tempera matite Faber Castel e un elastico, che per un mese riuscirà a raddrizzare un po' le dita indice e medio della mano sinistra. Continuo a muovermi, facendo giri su giri, e ricevendo visite di amici e occasionali parenti. Passo il tempo leggendo Gorki Park e una riduzione di Sharpe, dal Reader's Digest.
Mi portano da casa il tablet, e proseguo qui le letture. Talvolta scendo in giardino, salgo e scendo una rampa di scale e chiacchiero con gli amici in visita.
In agosto mi regalano una SIM Card per navigare, e riottengo l'accesso alla rete, scoprendo che su facebook nessuno aveva notato la mia assenza. Terró un profilo cauto, dando pochi aggiornamenti sulle mie condizioni.
Se recupero abbastanza potrei rientrare presto a casa. É partita la richiesta per l'invalidità, che mi libererà dal ticket medicinale, e in futuro mi potrebbe portare pensione di invalidità e accompagnamento, previa visita medica fiscale. Aspetterò fino a novembre: quando l'appuntamento viene fissato a Gorizia, scioccamente accetto l'opzione "se non potete venire, verremo noi da voi", ignorando che i "tempi" varieranno tra l'infinito e il mai.
Per essere piú stabile, mi forniscono un deambulatore 2+2, 2 ruote e due piedini, e comincio a spostarmi con piú sicurezza. Fino a qui l'entusiasmo é bello carico.

A settembre mi accorgo di un problema: non riesco piú a usare la stampella. E muovermi col deambulatore mi costringe a spostarmi stringendo le impugnature con le mani, annullando i miei tentativi di raddrizzare le dita. Brutte nuove. Devo preoccuparmi?
Non riesco piú a farmi la barba da solo, o lavarmi i capelli. Non posso togliere il cappuccio del TrattoClip, e se ci riesco non posso piú tenerla in mano con pieno controllo. Addio disegni nuovi. 
A ottobre é chiaro che sto peggiorando. Gli amici mi consigliano un consulto a Milano. Sono d'accordo, ma prima voglio un consulto con uno dei neurologi di Gorizia, visto che sono un loro paziente. Il primario della RSA invia la richiesta. 
Sulla mia pelle scopriró alcuni piccoli problemi: mi telefonano da Gorizia, appuntamento fissato tra due settimane. Ma quando arriva il giorno... nulla, nessuno viene a prendermi. Scopriró che a Gorizia avevano "dimenticato" che non ero a casa mia, libero di muovermi, ma a Cormons. "Non é la prima volta che succede!" mi dice il primario. E accadrà ancora, con successivi esami pneumologici.
Tutto rinviato di 10 giorni. Questa volta tutto avviene per bene. Vedo il neurologo. Mi visita. il dialogo seguente é semplificato. "Sto peggiorando..." dico.
Questo é il normale decorso della malattia, dice lei. 
"Devo cambiare cura?"
Assolutamente no.
"Posso chiedere il parere a qualche specialista?"
Certo che sì, é una mia libera scelta.
Tornare a Cormons senza uccidere nessuno é un'impresa. Penso solo che ho sprecato un mese prezioso per nulla. Ma quella sera stessa allerto gli amici di Milano di attivarsi, e l'appuntamento con lo specialista é fissato per i primi di dicembre.

Nel frattempo a novembre piano piano se ne va la voce, che diventa sempre piú impastata e incomprensibile. La mano destra continua a contrarsi, e prendere gli oggetti si complica. 
Rispondere al cellulare? Devo essere sdraiato sul letto, e la voce viene fuori piú chiara. Ma durerà poco, e durante il mese successivo diventa difficile darmi la spinta e sollevarmi da certe sedie, costringendomi a sceglierle solo se hanno braccioli massicci.
Devo inventarmi nuovi modi per tenere cucchiaio e forchetta (a provarci col coltello ho rinunciato da tempo), spostare la sedia in una posizione accessibile, farmi aprire le bottiglie d'acqua dalle infermiere (camice verde) e gli Operatori Socio Sanitari (OSS, camice bianco a bordi arancio), e farmi tagliare la carne ai pasti.
A dicembre l'eccesso di salivazione diventa serio. Già é corresponsabile per la voce sparita, ma anche mangiare e bere diventa un'impresa. Sento la gola piena, il naso pieno. Mi tocca interrompere i pasti perchè il naso sgocciola e mi tocca soffiarmelo subito. E fare attenzione che non vada per traverso quello che bevi. E sbavare mentre mangi diventa una costante. E non é divertente. 
Divento taciturno. La voce viene fuori incomprensibile se sono seduto per mangiare o mi sto spostando sul deambulatore, e vorrei lo capissero tutti quelli che si ostinano a parlarmi. Vorrei fosse lampante che se sono seduto comodamente sul letto parlo meglio, ma non riesco a spiegarmi come vorrei.
Eppure continuo a girare, saluto tutti. Vedo lungo degenti che tornano a casa, guariti. Le signore anziane mi prendono in simpatia, mi salutano quando passo, mi offrono un dolce, mentre divento amico del personale, sono la "presenza costante".

Arriva il giorno della visita. Andata e ritorno in un giorno solo, un viaggio in auto, in un giornata uggiosa, appuntamento alle 16.30. Faticoso, ma a volte ne vale la pena. Attendo circondato da amici, seduto su una carrozzina perché le gambe dopo 5 ore di autostrada sono dure e rigide.
La visita durerà meno di mezz'ora, ma ottengo dei fatti: 1) non mi hanno fatto tutti gli esami necessari, 2) il decadimento é stato troppo rapido, 3) all'età di 51 anni non si puó dire al paziente "si metta il cuore in pace". 4) il primario leggeva Tex.
A gennaio, passate le festività, dovró tornare per quattro giorni, per tutti quegli esami per stabilire "cosa ho". Almeno ho la certezza che una risposta la troveranno, perché si occupano solo di neurologia, e sono all'avanguardia nella ricerca. 

E siamo qui, per l'ennesima volta, ad aspettare dei risultati. Che puó succedere?
Tutto e niente. Forse hanno sbagliato diagnosi a Gorizia, forse no. Forse la medicina non cura perché l'origine è differente, o forse ho semplicemente una malattia "strong". Forse non è curabile, forse lo é in parte e forse si potrà fare qualcosa, forse dovró rinunciare alla Nutella.

"Ma come fai ad essere cosí? Come puoi riuscire a scherzare ancora?"
Perché no? L'alternativa é forse spaccare tutto? Urlare la mia rabbia al mondo? E chi vi dice che non l'abbia fatto? Che non abbia avuto reazioni peggiori? O che mi sia inventato tutto?
É una nostra scelta quella di scegliere cosa e come condividere le nostre esperienze, e quali siano condivisibili e quali invece no.
Mia é la scelta di raccontare questa storia, di non aggiungere fotografie, di fornire informazioni sulle mie condizioni attuali, e che io vi aggiorni su questi fatti su Facebook non vi é nemmeno la certezza. Dipenderà dall'umore, e dal grado di entropia dell'universo in quel momento.

Per tutto il resto, vale la frase finale di un vecchio romanzo di Philip José Farmer, che ammetto di saccheggiare spesso. Ma é maledettamente efficace.
L'unica cosa facile é arrendersi.